Supponiamo di avere circa trent'anni, una laurea, una
specializzazione. Aggiungiamo anche un master, un paio di lingue straniere
conosciute discretamente ed una serie - dico proprio SERIE - di contratti di
collaborazione a termine, quei così detti "progetti" sempre troppo
diversi da quanto appaiano sulla carta e che spesso ti sottoutilizzano in modo
umiliante. Aggiungiamo anche un numero imprecisato di stage a titolo gratuito e
senza alcuna prospettiva di assunzione in modo dichiarato.
Supponiamo quindi di essere il “giovane tipo” ma non TROPPO
GIOVANE, ossia quello ancora impegnato a pensare il proprio futuro
trascinandosi tra lavoretti part time, corso di studi universitario con annesso
impegno politico in fase “pseudo utopistica” e - contemporaneamente a tutto
questo - l’iniziativa di progetti di sviluppo lavorativo da imprenditore di sé
stesso ma con ritorno economico insufficiente anche per una persona sola. No. Spostiamo
lo sguardo dalle “grandi speranze” e torniamo alla nostra supposizione dove
siamo più “grandi” di costoro e per intenderci già facenti parte di quella
generazione che qualcuno ha iniziato a definire come “di transizione” quando il
senso delle parole è "da taglio", ossia quello stadio della vita dove
sei già visto come troppo impegnativo per essere ancora sfruttato solo per fare
esperienza e curriculum - perché stai
già perdendo la pazienza e inizi a pretendere rispetto per il tuo lavoro - ma
sempre troppo giovane per ambire al posto già puntato dall'ultra quarantenne
medio (ancora precario) che ancora attende il pensionamento del lavoratore
sessantenne di turno per poterne occupare il posto da un decennio abbondante e
che, a sua volta, non andrà in pensione in tempo per lasciarti in eredità il
suo.
Ecco... se per caso - come me - fate parte di questa categoria
ignorata e anagraficamente problematica, categoria definita nei modi più
offensivi e ridicoli da vari rappresentanti di destra e sinistra...beh, ragazzi
miei… siete fregati! Ed io come voi, ovviamente.
A detta di molti dovremmo prenderne serenamente atto. Ovviamente a
detta di tutti quelli che non hanno i nostri problemi.
Gli anziani infatti, ci riconosco una certa sfiga anagrafica e ci
prospettano una vita peggiore di quella avuta dai nostri genitori (e per colpa
di chi?); i più giovani ci fanno presente di essere già più svegli e
competitivi di noi (ancora non capiscono di essere nella fase "carne da
macello", da noi già superata brillantemente per giungere direttamente a
quella di "scarto industriale" ). In mezzo... Noi. Noi, con la
coperta della nonna sulla testa e il bicchiere di camomilla nell'altra (o
whiskey direttamente, nei momenti tristi) che passiamo il tempo a cercare di
comprendere dove avremmo sbagliato e perché la competenza e la disponibilità di
anni non siano bastati a fare di noi un determinato tipo di professionista e
non un professionista a tempo determinato. Malumori e depressioni ci colgono
ogni giorno davanti alle fermate degli autobus (perché mantenere la macchina ci
costerebbe troppo) ed alla sera torniamo nelle nostre stanze “di ragazzi”, che
ci apprestiamo a riconvertire in monolocali da occupare con il nostro compagno
visto che gli affitti sono cari come mutui e mutui non ce ne danno (perché a
“progetto perenne”) e questo sempre che i nostri genitori non abbiano niente in
contrario, ovviamente. E ne avrebbero ottime ragioni. Anche solo di spazio.
Pigri, annoiati, antipatici, immaturi…
pretendiamo troppo, a quanto pare. Quando poi il “troppo” in
questione sarebbe un lavoro attinente al nostro titolo di studio e
dignitosamente retribuito. Un’occupazione che abbia a che fare con le nostre
esperienze e competenze, maturate durante anni di lavoro ai quali se ne sono
sommati altri non previsti. Per adeguarsi ai tempi qualcuno tra noi - una parte
sempre più significativa - ritorna a studiare, studiare anche altro,
perfezionarsi, ADEGUARSI alle richieste. Ma non basta. O meglio… è sempre
troppo per il troppo poco che ci dovremmo fare bastare.
Noi trascorriamo il tempo a fare esperienze “formative”, regalare
la nostra competenza, perfezionarci, SPERARE. E dopo tanti sacrifici ci viene
brutalmente detto: basta ambire! Prendete la prima cosa che vi offrono e
ringraziate che ci sia.
Cosa?
DOPO SEI ANNI DI STUDI IN MEDIA, E ALTRI A FARE MASTER E STAGE…
dovremmo ripiegare sullo stesso lavoro che avremmo potuto fare a quattordici
anni e con la terza media? E’ una follia pretenderlo!
E per cosa poi? Per 700 euro lordi al mese (in media, se va bene)
?
La generazione “Mille Euro” aveva delle speranze che non sono più
le nostre e mentre il potere d'acquisto scivola verso il basso, lo fanno anche
gli stipendi. E il nostro umore.
Si discute infatti di riforme varie, dell'istruzione, del valore
del titolo di studio, del rilancio dell'attività manuale come interessante e
alternativa prospettiva al lavoro impiegatizio (per chi poi? Per chi ha i
terreni di proprietà! E gli altri? A fare i contadini per il latifondista di
turno?) ma di noi che abbiamo studiato cose che oggi si scoprono
"inutili" ed invece (dieci anni fa, magari) erano vendute come
"interessanti", di noi che abbiamo sperimentato i nuovi contratti, le
nuove condizioni di flessibilità lavorativa...? Di noi che sarà?
Si parla del futuro dei giovani, di quello che potranno avere ma
di noi - che saremmo già in età da "famiglia" - nessuno vuole sentire
parlare, salvo poi dirci che dovremmo accettare sacrifici non contemplati
e sostenere questa situazione per tutta la durata della nostra lunghissima
vita lavorativa, per permettere “ai ragazzi del futuro”… un futuro diverso dal
nostro.
A questo punto, dopo queste parole (e la prospettiva di essere
sballottati da un posto di lavoro all’altro, da una mansione all’altra, da un
paese all’altro, naturalmente senza speranza di poter mettere su casa – sempre
ricordandoci che si può benissimo vivere per sempre in affitto ma – mi
raccomando! – sempre da ITALIANI e quindi con la pressione fiscale più alta e
una tassazione dell’anima, a momenti! ) il trentenne intelligente e con un
minimo di rispetto per sé e il suo lavoro dovrebbe fare una cosa coraggiosa e
apparentemente folle: FERMARSI.
Avete capito benissimo. Basta impegno, basta progetti, basta BASSA
MANOVALANZA PERPETUA senza sbocchi. Basta stage, corsi con stage, master e
finti praticantati in azienda…
BASTA. TUTTO AL MITTENTE. Lasciare tutto, non prendere niente di
tutto questa finta offerta rigorosamente a pagamento. Fregature, ecco che sono.
I master poi, sono comici. Si propongono spesso come occasioni di
perfezionamento e contatto tra università e mondo del lavoro e poi si riducono
a momenti nei quali “paghi avanti” (e molto cara) la possibilità di farti
visionare da un’azienda che già sa che non ti impiegherà e se sì… difficilmente
in modo DECENTE.
Intanto qualcuno inizia a dire che vi è stata poca selezione e vi
sono troppi laureati di cui la maggior parte è specializzata in “materie
completamente inutili” che poi sarebbero -
non stiamo troppo a filosofeggiarci sopra (che appunto è inutile) - le
materie culturali e “letterarie” in genere, quelle che mirano alla costituzione
di un individuo culturalmente avvantaggiato e quindi socialmente pericoloso, se
non altro perché non incasellato in una professione se non in senso troppo vago
rispetto a chi si specializza in materie tecniche e scientifiche, considerate
l’unica opzione valida per chi volesse esprimere la propria utilità per la
società in senso molto concreto e collettivamente riconosciuto come “il
migliore”.
Questo disprezzo nei confronti della cultura, di fatto l’unico
elemento che costituirà in futuro la discriminante specifica tra una tradizione
e l’altra, sarà nefasto per ogni singolo paese ed è ironico riflettere su come
- proprio oggi - ci troviamo in un momento nel quale viene “musealizzata” la
qualunque. Anche con eccessi comici.
Inutile rimarcare qui e ora la miopia di tale atteggiamento in un
mondo nel quale proprio la tecnologia e le scoperte mediche saranno certamente
globalizzate ma non un prodotto “tipico” come un’opera d’arte che pure in caso
di traduzione soffre sempre - e non poco
- l’adattamento ad altri standard
linguistici (ad esempio) che ne fanno perdere parte del messaggio originario,
impoverendola. Dovrei tralasciare quindi come molti di noi vengano anche
considerati INUTILI e quindi ampiamente collocabili in CALL CENTER (a 3\4 euro
l’ora) o in eterne e frustranti supplenze in istituti scolastici sempre
peggiori o rifilati ad una qualunque “onlus” che si occupi di impiegare gli
“schiavi” - spesso pagati un’elemosina
da qualche ente pubblico - in una qualche iniziativa pseudoculturale\sociale
nella quale le mansioni svolte dai poveracci sono spesso equipollenti a quelle
dei vecchi bidelli della scuola che fu.
Che tristezza. Tralascio anche di parlare di questo e di come gli
altri laureati in materie scientifiche invece siano in massima parte utilizzati
come “polli da batteria” in enormi calderoni umani dove svolgono mansioni
medio\basse ampiamente sostituibili. Ecco, metto da parte tutto, tutto per
tornare al concetto di IMMOBILITA’ PROGRAMMATA ossia fermarsi e fermare tutto, paradossalmente
la migliore possibilità per chi di fatto viene considerato non meritevole di
altro che di un posto in un’impresa di pulizie. Intendiamoci: non che vi sia
disprezzo per questo lavoro o altri che ci vengono prospettati ma… NO, NO, NO. Non
dopo tutto ciò che abbiamo passato, non alla nostra età. Non è neanche
rispettoso verso chi ci ha pagato gli studi o verso il nostro lavoro per
pagarli (a seconda se si è avuta o meno la fortuna di una famiglia in grado di
sostenere l’onere degli anni di formazione).
Non è neanche possibile pretendere che dopo aver pagato avanti in
tutti i sensi – piuttosto che lavorare da subito e aver guadagnato – si abbia
come risultato questo bastardissimo livellamento verso il basso.
Davvero, dove è finita la tanto declamata MERITOCRAZIA?
La meritocrazia di cui oggi si parla è applicata solo in modo
piuttosto inquietante, analogamente a quanto succede per il concetto di
MOBILITA’, altrove compensato da remunerazioni superiori a quelle del medesimo
compito a tempo INDETERMINATO e solo in Italia “parificato” nel trattamento
economico ai contratti una volta riservati agli “apprendisti”. Se ci faceste
caso, vi accorgereste che si sta facendo largo un’infida campagna per
l’abbandono degli studi.
Conseguire un diploma è doveroso e molto più facile che in
passato, aggiungo. Ma andare oltre… spreco di tempo. Sul Corriere della Sera
spesso vengono portate all’attenzione dei giovani storie di loro coetanei che
hanno subito iniziato a lavorare. Operai di vario genere, impiegati in aziende
(altrui, ovviamente). Gente con uno stipendio. A fronte di questo, non si fa
seriamente una campagna per la chiusura degli atenei “inutili” e dei corsi
“sforna-disoccupati” e quindi formalmente l’Italia continua ad sfoggiare corsi
in materie letterarie che la certificano come “paese di cultura” a fronte di un
collettivo atteggiamento di disistima – se non proprio di scoperto disprezzo –
verso chi della cultura andrebbe ad occuparsi seriamente.
Produrre una serie di sottoposti da dare in pasto ai rampolli
delle migliori famiglie - in possesso di belle lauree conseguite ovunque nel
mondo - è il fine della campagna contro
la cultura a vari livelli. Pensateci: meno laureati, meno potenziali
concorrenti per i posti da dirigente.
Sul sito del MIUR, mesi fa, il Governo ha promosso una
consultazione popolare di cui solo le sceltissime classi sono state messe al
corrente probabilmente in modo da falsarne i risultati. Era disponibile per
chiunque – in teoria – un questionario SUL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO
dove di fatto veniva ventilata l’ipotesi di trattare in modo diverso
(avvantaggiandoli) coloro che si laureano in atenei generalmente noti come
“prestigiosi” - pur sapendo tutti
benissimo che la musica è in realtà diversa, nei fatti – coloro che, altra
faccia della medaglia, possono permettersi di pagare le tasse di tali
eccellenti università altrimenti precluse a tutti i comuni mortali. Il nuovo,
nascente, concetto di meritocrazia quindi sarebbe basato su una divisione
preventiva del candidato per censo, portando alla decisione discutibile di
considerare di maggiore valore una laurea conseguita in date università - anche con votazione inferiore - rispetto ad
un titolo con il massimo dei voti e lode ma ottenuto dal candidato in
un’università più piccola o comunque non con la stessa reputazione di una nota.
Verrebbe da ridere se non fosse drammatico.
La strumentalizzazione del miglior concetto del mondo - ossia la
ricerca dell’eccellente - è sotto gli occhi di chiunque non si trovi dalla
parte migliore della barricata. Cosa alla fine c’entri tutto questo con la
meritocrazia è un mistero della fede. Sempre la stessa che dovremmo avere noi
trentenni nel futuro. Degli altri.
E quindi ecco di nuovo l’ipotesi antisociale, quella combattuta con
ogni mezzo dal sistema tritacarne che pretende l’adeguamento dell’essere umano
alle sue esigenze e non il contrario: FERMARSI. NON FARE PIU’ NULLA. Si
dovrebbe, molto semplicemente, fermare tutto il terziario e non solo – perché i
precari ci sono in tutti i campi e anche per i campi a zappare – e farlo senza
interruzioni fino al raggiungimento dello scopo. Presentarsi in massa alla
Caritas con la bocca aperta e a muso duro. Andare tranquillamente in giro a
ciondolare, non fare NIENTE. La protesta non violenta durerebbe pochissimo.
Ma tutti dovrebbero rifiutarsi di lavorare a queste condizioni.
Mi si potrebbe obiettare che solo pochi potrebbero permetterselo.
Sicuri? Ovviamente una certa percentuale di noi è in queste condizioni ma non
si tratta di coloro che, mediamente, hanno percorsi formativi lunghi e coloro
che hanno IMMEDIATO bisogno non sono in condizioni di far altro che farsi
sfruttare, purtroppo. Ma gli altri? Quelli che potrebbero permettersi di
combattere anche per loro? Fate due conti.
Se spedente, come è praticamente scontato, di più per mettere
benzina e recarvi a lavoro piuttosto di quel che prendete come così detto
stipendio; se non potete pagarvi l’affitto; se non potete comprare NIENTE se
non con l’aiuto dei vostri genitori… guadagnereste di più stando a casa. Un po’
per la logica del lavoratore “di casa” che – potendo contare su uno stipendio – non paga
per le pulizie, non paga per la gestione dei bambini, paga meno la spesa –
perché ha tempo di pianificarla – e fa meglio i conti sulle entrate e uscite.
Alla fine del mese è praticamente scontato che chi lavora in casa a tempo pieno,
metta da parte con il risparmio ben più di quel che guadagnerebbe facendo il
classico lavoro mal pagato, fuori. So perfettamente che dire qualcosa del
genere – soprattutto di questi tempi - è molto “antisociale” ma è un aritmetico
dato di fatto ed è possibile valga anche per voi.
Solo di benzina risparmiata - o di soldi per i trasporti e le
necessarie spese di “rappresentanza” - mettereste da parte un potenziale gruzzolo-familiare.
Certo, vi ridurreste a vivere come bambini e dovreste sperare di
avere la complicità della famiglia ma così sarebbe per la maggior parte di noi.
Se pensate poi, con paura, che potrebbero farci marcire nella
nostra immobilità, SBAGLIATE. L’Italia si è ridotta a non poter fare a meno dei
così detti “precari” e quindi il governo sarebbe costretto in pochissimo tempo
a riconsiderare i suoi programmi sulla generazione DA TAGLIO e rivedere le
priorità della crescita, al momento orientate all’uso massiccio della persona
in quanto OGGETTO DI CONSUMO e a favore di coloro che usano il ricatto
lavorativo come lurido mezzo per speculare immoralmente sulla vita di altri. A
tale modo di fare si può solo rispondere con il RICATTO SOCIALE dell’immobilità
ad oltranza. Tutto cambierebbe, se tutti ci fermassimo. Ma vedo poco coraggio
in giro e molta rassegnazione, figlia della debolezza di carattere che della
sicurezza delle proprie intenzioni.
Mi piacerebbe confidare nella forza di tutti i miei coetanei e non
solo per il mio bene ma per il bene di tante altre persone anche, se non
soprattutto, di chi non può permettersi questo mezzo di protesta o ne morirebbe.
Ci vorrebbe però la rabbia della fame e in Italia, ancora, non si
è a questi livelli.
Monti ha avuto il fegato e la faccia tosta di definire la nostra
generazione “perduta” e quindi detto che si lavora perché non sia così per gli
altri. Se è così, l’Italia merita che la nostra generazione se ne scappi
lasciando tutto in balia dei baldi ventenni che vedete in giro. Lasciamo a loro
l’onore - e l’onere - di macinare la propria vita per il futuro di
altri e per pagare la pensione a questa gerontocrazia temporeggiatrice. La
parola d’ordine dovrebbe essere AMBIRE; Ambire per DESIDERARE, PRETENDERE, quel
che ci spetta.
Ma negli occhi delle persone non vedo fierezza e tutti predicano –
anche furiosamente, nella loro infelicità – che non c’è scampo e dobbiamo accontentarci.
Io non intendo farlo, combatto molto dolorosamente per non farlo, ma penso a
tutti gli altri.
Peccato.
Perché chi si contenta non gode “così così”. Semplicemente non
gode mai.
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