venerdì 10 agosto 2012

Domande "senza risposta" per un partito "senza futuro"


di Gaspare Serra

Cos’è il Partito Democratico?
Il Pd è stato presentato come un’operazione politica “mai tentata prima” in Italia (forse non a caso!): il tentativo d’unificare sotto l’effige d’un solo partito le “radici democristiane” (ex Margherita) con la “storia post-comunista” (ex Ds).
Ma qual è stato il risultato di questa “fusione a freddo” se non la nascita di un partito né “pesante” (stile vecchio Pci) né “leggero” (stile ex Forza Italia), bensì “gassoso”, ovverossia politicamente “inconsistente” (riassumibile nello slogan “Ma anche...” ideato da Maurizio Crozza)?
Se finanche due fondatori del Partito hanno, a suo tempo, definito lo stesso un “amalgama malriuscito” (Massimo D’Alema) ed un “tubetto senza dentifricio” (Arturo Parisi) come dargli torto?


Perché è nato il Pd?
Il Pd ha visto la luce sulla spinta della necessità di “andar oltre” un centrosinistra tanto capace di vincere le elezioni quanto incapace di governare.
Ma ha rappresentato la migliore cura possibile al malessere di una coalizione “ipertrofica”?
Quale risultato di rilievo ha, fin’oggi, ottenuto il Partito, se non epurare la Sinistra (sia comunista che socialista) dal Parlamento e mettere in “crisi esistenziale” milioni di elettori delusi e spaesati?
Quanto, dietro il presunto “coraggio politico” di Water Veltroni, si è celata:
1-                  un’“illusione” (la costruzione di un partito autosufficiente, a vocazione maggioritaria, capace di riunire omogeneamente le anime laiche e cattoliche dello schieramento);
2-                  un “incubo” (veder presentato come “nuovo” un partito costituito da personaggi “vecchi”, logori, consunti: praticamente la trasposizione della vecchia classe dirigente dei Ds e della Margherita!);
3-                  e una “presunzione” (concepire un “partito-coalizione” in un sistema politico, quale quello italiano, che né è né sarà mai bipartitico)?


Quale “identità politica” riconoscere nel Pd?
Nel Pd convivono due anime ben diverse: quella “post-comunista” e quella “post-democristiana”.
Ma fino a che punto tale convivenza è possibile?
Fino a che punto tale convivenza non si traduce nella mancanza di una chiara “identità politica”?
Il Pd oggi è fermo, “impallato”, dinanzi a un bivio.
Due sole le strade percorribili:
1-                  l’una quella di ambire a rappresentare la Sinistra italiana.
Se la scelta ricadrà su questo percorso, il Partito dovrà decidersi a “cambiar volto” (non potendo farsi rappresentare dai vari Enrico Letta, Giuseppe Fioroni, Marco Follini…), “cambiar programma” (non potendo, ad esempio, aver paura anche solo di citare le parole “diritti civili” o “laicità”!) e “cambiar comunicazione” (dovendo esprimere in maniera inequivoca un’idea ben chiara di politica e di società contrapposta a quella fin qui egemone berlusconiana).
2-                  L’altra è quella di ambire a riportar in vita le glorie passate della Democrazia Cristiana.
Se la scelta ricadrà su questa strada, invece, si punti a costruire un nuovo “Partito Democratico Cristiano” (pronto a far man massa di voti nell’affollato bacino elettorale moderato, così da compensare l’emorragia di consensi che si dovrà fronteggiare a sinistra).
Entrambe le scelte sono legittime… ma “inconciliabili”!
E non sarà mai troppo tardi il momento per il Pd di mettere fine a questo infinito “equivoco”…


Un’alternativa al progetto politico Democratico era possibile?
Dopo la disastrosa esperienza di governo Prodi-Padoa Schioppa una svolta politica era “inevitabile” nel centrosinistra, data la necessità:
1-                  di semplificare il quadro politico (essendo improponibile una “coalizione-ammucchiata” di 7-8 partiti!);
2-                  e di isolare le ali più estreme (di Centro come di Sinistra).
La svolta c’è stata, ed è sfociata nel Pd.
Una alternativa, comunque, era possibile e sarebbe potuta consistere nella rifondazione di un centrosinistra ancorato su due pilastri:
1-                  un partito socialdemocratico sul modello europeo (che puntasse a riunire le forze riformiste della Sinistra);
2-                  ed un partito dei moderati (che puntasse a riunificare i cattolici riformisti italiani).
Partiti alleati ma dalla identità e dal bacino elettorale di riferimento ben distinti e definiti.
Un’alternativa che, probabilmente, sarebbe risultata “più chiara” dinanzi agli elettori, “più credibile” sullo scenario europeo e “più logica” rapportata alla realtà politica italiana…


Quando giungerà il momento, anche nel Pd, di “rottamare” l’usato sicuro?
Rimarrà a futura memoria lo sfogo di Nanni Moretti del 2001, quando, da una gremita piazza Navona, il Regista pronunciò l’ardua sentenza: “con questa classe dirigente non vinceremo mai!”.
In effetti, il centrosinistra non ha praticamente più vinto da allora (salvo l’effimera vittoria dell’Unione di Prodi nel 2006), ma la classe dirigente di allora è praticamente rimasta la stessa di oggi!
Nel Pd “resiste” una classe dirigente “sfrontata e fallita”:
-                      D’Alema “ha fallito” il suo progetto politico più ambizioso (la Bicamerale) e sarà ricordato più come  ottimo ministro degli Esteri che come Premier o segretario di partito;
-                      Veltroni “ha fallito” il suo progetto politico più ambizioso (la vocazione maggioritaria del Pd) e sarà ricordato più come ottimo sindaco che come vice Premier o segretario di partito...
Il Pd, perciò, avrà un futuro solo nei limiti in cui i suoi elettori sapranno “riappropriarsi” del loro partito, fin ora gestito dai suoi dirigenti come se si trattasse di “cosa loro”!


Un’alternativa per il Pd al centrosinistra è possibile?
Il motto del centrosinistra in questi anni è stato “uniti per dividersi!”: coalizioni “frammentate e disomogenee” (l’Ulivo prima, l’Unione poi…) non hanno messo alcun freno ai propri “istinti kamikaziani”!
Passata la “sbronza veltroniana” dell’autosufficienza, però, è ormai chiaro che non esiste alcuna alternativa credibile che la ricostituzione di un asse Pd-Sel-Idv!
Non si tratterebbe della riproposizione del’Unione (una colazione di 7-8 partiti e partitini) bensì di un’alleanza tra le principali forze politiche del centrosinistra (escludendo forze radicali come la Federazione della Sinistra e inaffidabili quali i Radicali).
La principale responsabilità del Pd, semmai, è quella di non aver lavorato in tal senso negli ultimi anni (ciò che gli avrebbe consentito di potersi avviare alla campagna elettorale avendo già ben chiari alleati, programmi e candidato premier).
Quale sarebbe, del resto, l’alternativa?
Chiedere la mano a Casini (e, magari, a Fini!) col rischio di separarsi dalla propria base (che di “morir democristiana”, in larga parte, non ne vuole proprio sapere)?!
Bersani, invece, sembra ambire alla “strana alleanza” Vendola-Casini, escludendo Di Pietro…
Il rischio, però, è:
1-                  che si ripeta lo stesso errore in precedenza compiuto da Veltroni (escludere Sel ed includere i Radicali, per poi rammaricarsi della prima scelta e pentirsi della seconda!);
2-                  e che si alimenti, specie ove si paventino “inciuci elettorali” post-voto con l’Udc in perfetto stile Prima Repubblica, un’“emorragia elettorale” di cui potrebbe beneficiare una possibile alleanza “anti-Sistema” Grillo-Di Pietro!

 Noi del blog la Dialettica Politica ringraziamo di cuore Gaspare Serra per il suo importante contributo.
Visitate il blog di Gaspare Serra

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